Gioco – concorso – quiz

Gioco - concorso - quiz

Gioco – concorso – quiz

Eccovi un nuovo quiz parigino per testare la vostra conoscenza della ville lumière.

Il blog Italiani a Parigi, blog franco-italo-siculo-parigino, ha il piacere di presentarvi la tredicesima edizione dell’unico concorso del web in cui non si vince una beata mi…zzica. Anzi no!!!
Questa volta si vince una gustosa pizza “italiana” offerta da Giuseppe, il gestore del misterioso locale del quiz.

Il principio del gioco è semplice, per vincere il quiz dovete indicare le tre risposte richieste.

– Qual è l’indirizzo completo della pizzeria della foto (alcune lettere sono state cancellate dall’insegna)?
– Per quale motivo la pizza Margherita si chiama in questo modo?
– Quali sono gli ingredienti della pizza alla marinara?

La prima persona che risponderà esattamente alle tre domande vincerà il concorso…e la pizza!
Partecipate numerosi commentando il quiz con la risposta esatta.

Che vinca il migliore!

Una storia parigina – XII

Sogni di cristallo

Sogni di cristallo

Simone e Odalys uscirono dall’ufficio del notaio e camminarono senza meta per le vie di Parigi.
Le verità apprese pochi minuti prima nello studio del signor Lemaitre avevano scombussolato le certezze dei due ragazzi che, increduli, cercavano di razionalizzare e dare un senso agli eventi.
Simone si era fermato improvvisamente davanti a un internet point e aveva chiesto alla ragazza cubana di accompagnarlo all’interno.
– Hai bisogno di un caffè? Chiese Odalys scrutando il volto preoccupato del suo compagno.
– Si. E soprattutto ho bisogno di informazioni.
Entrati nel locale, ordinarono due caffè e occuparono una delle tante postazioni multimediali disponibili.
Simone, che si era connesso immediatamente a Google, aveva inserito il nome Filippo e il cognome Maggiorana come chiavi di ricerca.
Il motore di ricerca aveva restituito svariate pagine di risultati relativi alla ricerca selezionata: numerosi links, talvolta corredati da fotografie, rinviavano a siti che parlavano dello scienziato foggiano.
Il ragazzo cliccò i primi tre siti della lista ed esaminò i contenuti mostrati sullo schermo.
Le informazioni fornite dal notaio e scritte nella lettera erano reali. Filippo Maggiorana era un personaggio molto conosciuto in Italia e il web traboccava di notizie sulla sua scomparsa.
Leggendo gli articoli trovati in rete, la memoria di Simone ebbe un risveglio improvviso e il catanese si ricordò di avere già sentito la storia di quello scienziato scomparso misteriosamente.
Maggiorana era sparito da Peschici, un comune nel foggiano, nel settembre del 1945, poco dopo i bombardamenti nucleari in Giappone. L’ultima volta era stato avvistato al porto di Brindisi sul punto di imbarcarsi su una nave per Palermo, dove doveva recarsi per trascorrere un periodo di riposo.
Numerose ipotesi erano state sollevate dall’opinione pubblica per giustificare la sua sparizione, tra queste anche la teoria di un possibile suicidio per espiare le colpe legate ai suoi studi in ambito nucleare che avevano portato alla creazione dell’ordigno atomico.
Simone e Odalys erano i soli a sapere che Maggiorana era ancora vivo, anche se non sapevano più dove si trovasse.
– E’ tutto vero! Esclamò Simone rivolgendosi alla sua compagna.
– Che facciamo? Sono molto confusa, chiese la cubana con tono dubitativo.
– L’unica cosa che ci resta da fare, cara Odalys.
– E cioè?
– Trovare la sorella di Maggiorana in Puglia, comunicarle che il fratello è ancora vivo e consegnarle l’intero patrimonio che ci ha lasciato.
– Ottima idea. Purtroppo non sappiamo nulla di lei a parte il fatto che si chiama Sofia.
– E’ un buon inizio. Non è tantissimo, ma è quello che ci basta per cominciare la ricerca, disse Simone che aveva già cominciato a digitare sulla tastiera del computer il nome della sorella dello scienziato.

Il motore di ricerca non aveva trovato nessun risultato interessante.
Decise di proseguire la ricerca online consultando i profili che portavano quel nome e il sito dell’elenco telefonico di Peschici. In entrambi i casi la sua ricerca si concluse con un nulla di fatto. La rete multimediale non conservava nessuna traccia di quella donna.
– Credo che ci rimanga una sola soluzione, disse Odalys fissando Simone. Andare in Puglia e cercare personalmente la sorella di Philippe.
– Hai ragione. Non ci resta nessun’altra alternativa. Controllo subito i prossimi voli.
Il siciliano si era connesso sul sito della compagnia Easyjet ed era riuscito ad ottenere due biglietti sul volo per Brindisi delle tre del pomeriggio.
– Abbiamo giusto il tempo di preparare le valigie, avvisare i nostri datori di lavoro e recarci all’aeroporto di Orly.
I due ragazzi si precipitarono a casa, improvvisarono in pochi minuti due valigie, e corsero all’aeroporto.
Arrivati a Orly, il catanese e la sudamericana effettuarono il check-in, verificarono il numero del cancello d’imbarco e si accomodarono nella sala d’attesa aspettando di accedere all’aereo.
Odalys era molto tesa e un poco pessimista. Simone sembrava più tranquillo e ottimista.
– Come fai a essere così sereno?
– Sono fiducioso. Penso che troveremo facilmente la sorella di Maggiorana. Peschici è un comune che conta poche migliaia di abitanti. E’ uno di quei piccoli borghi in cui tutti si conoscono e le notizie viaggiano alla velocità della luce.
Il viaggio in aereo si svolse senza particolari problemi e arrivarono puntuali a Brindisi.
Scendendo dalla scaletta dell’aereo, Simone aveva respirato con gioia la ventata d’aria pungente che lo aveva investito. Era aria di casa che profumava di terra bagnata, agrumi e ulivi, erano delicate fragranze del sud dell’Italia che gli accarezzavano l’anima.
I due ragazzi avevano affittato una Twingo al bancone dell’aeroporto e si erano alternati alla guida dell’auto per percorrere i duecento chilometri che separano Brindisi da Peschici.
Avevano impiegato tre ore per raggiungere la piccola cittadina in provincia di Foggia e, stremati dalla fatica, erano entrati nel bar della piazza principale per ordinare qualcosa da mangiare.
Seduti in un tavolo accanto alla vetrata, avevano chiesto due piatti di spaghetti alla carbonara, accompagnati da una birra ghiacciata e una coca-cola.
Dopo aver consumato il meritato pasto, Simone aveva chiesto due caffè all’anziano barista.
– Finalmente un buon caffè italiano, esclamò soddisfatto e appagato.
– Da dove venite? Chiese il barista incuriosito dall’esclamazione del ragazzo.
– Non sono straniero. Sono italiano anch’io, ma vivo in Francia insieme alla mia compagna.
– Siete qui in vacanza? Siete venuti a vedere i trulli di Alberobello e i sassi di Matera? Se volete posso consigliarvi alcuni ristoranti a buon prezzo e ottimi locali dove ballare la pizzica.
– Veramente non siamo turisti, rispose Odalys inserendosi nella conversazione.
– Allora siete venuti a trovare i parenti?
– Non esattamente, rispose Simone. Abbiamo fatto un lungo viaggio per cercare una persona.
Si chiama Sofia Maggiorana. Temendo di non essere preso sul serio, il siciliano non accennò alla storia di Filippo e al loro incontro a Parigi.
– Sofia? La sorella dello scienziato? Esclamò il barista. Adesso ho capito. Siete una coppia di giornalisti. Da quando Filippo è scomparso Peschici è diventata un viavai di macchine fotografiche e telecamere, aggiunse l’anziano dietro il bancone lasciando trapelare un certo rammarico.
– Lei lo conosceva? Chiese Odalys rivolgendosi al barista.
– Certo. Qui in paese ci conosciamo tutti. Abbiamo fatto le scuole medie insieme. Era il mio compagno di banco. Posso dirvi solamente che era una brava persona. Un uomo onesto e sincero.
– E sua sorella Sofia? Chiese Simone tornando al punto essenziale che aveva motivato il loro viaggio.
– Se siete giornalisti vi è andata male. Sofia ci ha lasciato l’anno scorso. Pace all’anima sua.
La povera donna ha trascorso la sua vita in attesa del fratello. Non si è sposata e non ha avuto figli. Filippo era il suo unico affetto, la sua famiglia. Quando il fratello ha fatto perdere le sue tracce, il sorriso non è più ricomparso sul volto di Sofia. Chissà che fine ha fatto.
– Grazie per le informazioni. Comunque non siamo giornalisti. Volevamo solamente salutare Sofia.
– Se lo desiderate, potete portarle un fiore. Entrando dall’ingresso principale del cimitero, la sua tomba si trova nella terza fila a destra, disse il barista indicando la vicina collinetta su cui sorgeva il cimitero. Potete andarci a piedi. Dista cinque minuti da qui, ma sbrigatevi o lo troverete chiuso.
– E’ molto gentile da parte sua. Ci andiamo immediatamente.

Proseguirono mano nella mano percorrendo velocemente la centinaia di metri che li separava dal cimitero. Si erano fermati pochi istanti per raccogliere alcune viole selvatiche.
Arrivati al tramonto davanti al cimitero, incontrarono il guardiano che li avvisò della chiusura imminente dei cancelli.
Simone e Odalys si addentrarono tra i viali alberati e, seguendo le indicazioni del signore del bar, trovarono la tomba di Sofia, all’ombra dei cipressi.
Era una tomba semplice, in marmo bianco, priva di fiori e candele.
Odalys si avvicinò per leggere la frase, incisa sulla pietra, che campeggiava sulla lapide e la lesse ad alta voce.
Sofia Maggiorana, sorella devota e fedele. Pianse, per tutta la vita, la scomparsa del fratello che si fece carico della sofferenza dell’umanità.
La cubana aveva scandito lentamente le parole dell’epitaffio e si era rivolta verso Simone in cerca di risposte.
– Abbiamo fatto quello che dovevamo. La vita non è stata clemente con questa donna, disse Simone cercando di consolare la ragazza sudamericana visibilmente scossa.
– E adesso che facciamo?
– Torniamo a casa, rispose il giovane cingendole le spalle. Parigi saprà illuminarci.
I due ragazzi trascorsero la notte in un ostello vicino alla piazza e si svegliarono prestissimo.
Dopo aver bevuto un caffè e un cappuccino nello stesso bar dove avevano cenato la sera prima, salirono a bordo della Twingo per recarsi in aeroporto e prendere il primo volo per Parigi.
Come all’andata, si alternarono alla guida della piccola utilitaria e scambiarono alcune impressioni sulle rocambolesche vicende che li avevano visti protagonisti.
– Philippe ci ha cambiato la vita. Ci ha insegnato a fidarci del prossimo, a sperare nel futuro, a credere in un mondo migliore e a diffidare delle apparenze, disse Odalys spezzando il gelido silenzio di quella mattinata invernale.
– Non dimenticherò mai gli occhi espressivi di quel senzatetto barbuto che esprimeva affetto e riconoscenza senza parlare, rispose Simone non distogliendo lo sguardo dalla guida.
La coppia proseguì il resto del viaggio in macchina osservando il paesaggio desolato della campagna pugliese: una miriade di ulivi, fichi d’india e vigneti si estendeva a perdita d’occhio alternandosi a costruzioni rurali in pietra bianca.
Giunti all’aeroporto, si recarono al banco informazioni per acquistare i biglietti per il primo volo disponibile.
Fortunatamente una decina di posti erano ancora liberi sul volo Brindisi-Parigi di mezzogiorno.
L’aereo decollò puntuale staccandosi dal suolo pugliese con un potente rombo di motori.
Al momento della partenza, Simone e Odalys si erano tenuti stretti per la mano e avevano accompagnato con lo sguardo gli ultimi scorci della macchia mediterranea.
La cubana si addormentò quasi immediatamente. Stanca e provata dalla lunga giornata precedente, Odalys riposava accovacciata sul petto del ragazzo impegnato a rimuginare sul groviglio di idee che si infittiva nella sua mente.

Atterrati con venti minuti di ritardo a Orly, scesero dall’aereo che li aveva riaccompagnati in terra francese e furono accolti da una pioggia fitta e un gelo siberiano.
Simone fermò con un gesto della mano il primo taxi di passaggio e comunicò al conducente l’indirizzo della rue du Roi de Sicile.
– Andiamo a casa mia, disse il ragazzo rivolgendosi alla compagna.
– D’accordo, disse Odalys con una voce ancora impastata di sonno.
La Mercedes grigia aveva raggiunto rapidamente il centro storico e, all’altezza del quai de Montebello, si era fermata a un semaforo poco distante dalla cattedrale di Notre Dame.
Monsieur, on voudrait descendre ici (Vorremmo scendere qui, Signore), disse la ragazza rimasta in silenzio per quasi tutto il tragitto.
D’accord. Ca vous fait 40€ (Va bene. Mi dovete 40€), rispose il conducente spegnendo il motore dell’auto.
Il siciliano pagò il costo della corsa e ringraziò il taxista per il servizio.
Poi si rivolse verso la sua compagna con un’espressione stranita.
– Perché hai voluto fermarti qui? C’è un freddo pazzesco e, come se non bastasse, abbiamo le valigie.
– Ricordi cosa faccio quando devo prendere una decisione importante o riflettere a una scelta difficile?
– Ho capito, rispose Simone sollevando i due trolley e dirigendosi verso la scaletta d’accesso al lungo-Senna.
Scesero una piccola rampa di scale e si ritrovarono a camminare sulla stessa sponda del fiume dove tutto era cominciato.
La coppia italo-cubana procedeva, mano nella mano, contemplando lo scorrere incessante della acque della Senna.
Il silenzio che li avvolgeva era intervallato dal rumore regolare provocato dalle rotelle delle valigie trascinate sul marciapiede.
A un certo punto Odalys si fermò, si sedette sul bordo della banchina e diresse lo sguardo verso il cielo.
– Guarda! Disse la sudamericana al suo Simone.
– Che magia! Esclamò il ragazzo alzando gli occhi al cielo.
Un velo delicato fatto di minuscoli fiocchi di neve scendeva lentamente sulla città. Lievi e soffici, migliaia di cristalli luminosi imbiancavano il paesaggio trasformandolo in uno scrigno candido e ovattato.
La neve cadeva lenta da un cielo compatto e, come una coperta, avvolgeva l’atmosfera urbana coprendo i rumori della città e regalando una gioia inaspettata ai bambini e agli adulti.
Petali nivei si libravano soavemente nell’aria, in un silenzio senza tempo, come polvere di stelle cullata dal vento, ricoprendo di magia le speranze e i sogni di Simone e Odalys.

Una storia parigina – XI

Oltre l'apparenza

Oltre l’apparenza

Simone e Odalys si svegliarono di buon ora.
Entrambi avevano chiesto un giorno di permesso ai rispettivi datori di lavoro per dirimere l’intricato mistero della scomparsa di Philippe.
Dopo aver consumato una veloce colazione al café Beaubourg, si erano diretti velocemente verso l’indirizzo del notaio, nel cuore del Marais.
Il ragazzo siciliano conosceva bene la zona e aveva preso diverse scorciatoie per guadagnare tempo. Giunti sulla rue de Turenne, avevano percorso il tratto di strada restante tenendosi mano nella mano.
Arrivati davanti al numero venticinque, avevano identificato sulla facciata del palazzo una targa metallica che riportava lo stesso nome del biglietto da visita trovato nel monolocale: Fabien Lemaitre, Notaire.
Simone spinse il pulsante metallico situato accanto al portone che si aprì emettendo uno squillante segnale sonoro.
Il catanese osservò attentamente la lunga lista di cognomi del citofono posto all’ingresso e spinse il terzo tasto.
Una luce abbagliante si accese all’interno del citofono e illuminò il volto di Simone. Era la telecamera interna che permetteva agli inquilini di vedere il volto del visitatore prima di concedere l’accesso al palazzo.
– Chi desidera? Disse una voce femminile.
– Mi chiamo Simone Puglisi e vorrei incontrare il notaio.
– Certo signor Puglisi. Salga pure al terzo piano. Il signor Lemaitre la stava aspettando.
Il portoncino di vetro si aprì automaticamente dopo le parole della ragazza.
L’italiano e la cubana erano penetrati nell’atrio del palazzo ed erano entrati in un piccolo ascensore.
– Che significa che mi stava aspettando? Chi diavolo gli ha detto che sarei venuto? Come fa a conoscere il mio nome?
– Più domande ti fai e meno la situazione avanzerà. La soluzione del tuo rebus si trova a tre piani di distanza da noi. Coraggio, saliamo e togliamo il velo a questo mistero.
– Si. Andiamo a scoprire la verità.
Scesi dall’ascensore, i due giovani si erano trovati davanti una ragazza di bella presenza che li aspettava sull’uscio della porta.
Era la segretaria del notaio che aveva risposto pochi attimi prima al citofono.
– Accomodatevi, prego. Avviso immediatamente il signor Lemaitre del vostro arrivo. Gradite un caffè o un bicchiere d’acqua?
– No, grazie. Risposero in coro Simone e Odalys che desideravano solamente avere notizie di Philippe.
La segretaria si era allontanata imboccando un lungo corridoio e il siciliano si era soffermato a fissare l’arredamento della sala d’attesa.
Era una stanza elegante e accogliente: un massiccio parquet in legno disposto a spina di pesce ricopriva il pavimento, vasi pieni di fiori e piatti di ceramica finemente cesellati abbellivano l’arredamento, un enorme camino riempiva la parete laterale, varie poltrone colorate permettevano ai clienti di aspettare comodamente il proprio turno, decine di libri e riviste erano disposti ordinatamente sul tavolo di marmo.
– Mi segua signor Puglisi, disse la segretaria tornata dal corridoio in cui era scomparsa pochi minuti prima.
Simone prese la mano di Odalys e seguì la silhouette slanciata della donna che li guidava tra le stanze dell’ufficio.
– Prego, disse la segretaria arrivata davanti a una porta di legno massiccio socchiusa.
Un uomo di mezz’età, in piedi, era intento a leggere un librone dalla copertina rigida.
Il notaio si aggiustò gli occhiali da vista, chiuse il libro che teneva in mano, strinse la mano ad entrambi e si sedette alla sua scrivania.
– Piacere di conoscervi. Voi dovete essere Simone e Odalys.
– Il piacere è nostro, rispose Simone. Ma come fa a conoscere i nostri nomi?
– Caro signor Puglisi, il mio cliente mi ha parlato a lungo di voi e mi ha spiegato le ragioni della sua scelta.
– Cliente? Scelta? Ma di cosa sta parlando? Sbottò Simone stanco di mescolare le tessere di un insensato mosaico. Potrebbe gentilmente spiegarmi cosa sta succedendo? Dov’è Philippe?
– Ha ragione. E’ colpa mia. Sono andato troppo veloce e vi ho confuso le idee, rispose il notaio con molta pacatezza. Procediamo per ordine seguendo le disposizioni del signor Filippo Maggiorana.
– Di chi?
– Filippo Maggiorana. E’ questa l’identità della persona che conoscete sotto il nome di Philippe.
– E chi me lo garantisce? Disse il ragazzo esigendo prove tangibili che confermassero le affermazioni del notaio.
– Questa! Rispose il signor Lemaitre mostrando una fotocopia a colori. E’ la copia della carta d’identità del mio cliente.
Simone osservò attentamente il foglio e si consultò brevemente con Odalys riguardo la foto della carta d’identità. Nella foto Philippe era più giovane e meno trasandato, ma non c’erano dubbi. Si trattava dello stesso barbone dell’ospedale Saint Antoine che aveva frequentato per mesi.
Il siciliano esaminò con attenzione il documento e trovò la conferma delle informazioni fornitegli dal notaio. Si chiamava Filippo Maggiorana, nato a Foggia il 7 giugno 1920.
– Va bene. Le credo. Potrebbe spiegarmi perché mi trovo qui? Qual è il senso di tutta questa storia?
– Caro signor Puglisi, riprese il notaio, il mio compito è quello di portare a termine la missione conferitami dal signor Maggiorana. Sono un notaio e non mi occupo di spiegare o interpretare il significato delle decisioni dei miei clienti. Mi occupo soltanto di notificare, atti, lasciti, successioni, eredità, vidimare registri, validare statuti societari e molte altre operazioni che non le spiego perché rischierei di annoiarla. Nel suo caso specifico devo comunicarle le direttive del mio cliente nei suoi confronti.
– Eredità? Lasciti? Successioni? Direttive del cliente? Ma si rende conto che stiamo parlando di un clochard che possiede solamente un cagnolino e poche briciole di dignità? Disse Simone con foga e continuando a non capire.
– Spesso le apparenze ingannano, rispose il notaio mantenendo una calma serafica. Molte persone si fermano a ciò che si vede in superficie, e non accettano che la faccia nascosta della realtà possa essere radicalmente opposta a ciò che credevano.
– Grazie per la bella lezione di filosofia signor Lemaitre, disse il siciliano con tono ironico. Ma sono venuto qui per altre ragioni. Potrebbe dirmi dove si trova il mio amico?
– Capisco la sua indisposizione. Sarà sicuramente confuso da questa situazione ingarbugliata.
Procediamo con ordine. Dove si trova non lo so nemmeno io. Il signor Maggiorana è venuto nel mio studio ieri pomeriggio e mi ha pregato di consegnarle questa busta. Mi ha chiesto di comunicarle il resto delle informazioni solamente dopo la lettura della lettera. La prego, dunque, di prendere visione del documento.
Come vede la busta è sigillata con la ceralacca. E’ una lettera personale, diretta esclusivamente a lei. Io stesso non ne conosco il contenuto.
Simone prese il plico e aprì con un gesto deciso il sigillo che lo chiudeva saldamente.
Prese tra le mani il foglio contenuto nella busta e si avvicinò a Odalys per permettere alla ragazza di leggerlo insieme a lui.

Caro Simone,
Chi ti scrive questa lettera non è Philippe, il barbone trasandato e alienato che sedeva davanti all’ospedale Saint Antoine, ma Filippo Maggiorana, uno scienziato. Questa è la mia vera identità e mi scuso per avertela tenuta nascosta fino a questo momento.
Avevo raggiunto una forte notorietà in Italia grazie ad alcune scoperte in ambito fisico che hanno permesso alla scienza di fare passi da gigante.
Il contributo principale l’ho fornito nel campo della ricerca nucleare: i miei studi sui neutrini e sulle particelle atomiche hanno segnato una svolta rivoluzionaria.
Ho sempre lavorato con passione e sono sempre stato convinto che l’impegno scientifico sia essenziale per migliorare la condizione umana.
Poi è arrivata la guerra mondiale e la mia vita si è sgretolata come un castello di sabbia.
Scienziati senza scrupoli hanno utilizzato i miei studi sulla fissione nucleare per concepire un ordigno diabolico capace di liberare un’energia distruttrice paurosa e di eliminare ogni traccia di vita in un raggio di svariati chilometri: la bomba atomica.

Le mie ricerche hanno indirettamente contribuito a una delle più grandi tragedie dell’umanità.
Le bombe lanciate su Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del 1945 portavano anche la mia firma.
Le immagini delle vittime di quei bombardamenti, i danni diretti e indiretti causati alla popolazione, il pianto di migliaia di bambini innocenti, il dolore straziante degli ustionati mi hanno perseguitato per tutta la vita. Mi sono sempre sentito e mi sento ancora adesso colpevole e responsabile di uno dei più atroci crimini contro l’umanità.
Subito dopo la guerra, ho attraversato una fase di profonda crisi. Mi svegliavo nel cuore della notte perseguitato dai volti insanguinati delle vittime e dalla voce della mia coscienza sporca che mi ricordava che la colpa di quello scempio era anche mia.
Non ho retto e ho deciso di abbandonare tutto. Ho scritto un messaggio d’addio a mia sorella Sofia, l’unica persona cara che mi restava, e ho lasciato per sempre la Puglia e l’Italia.
Ho rinunciato alla mia identità e ho fatto di Parigi il mio rifugio. Ho rifiutato il contatto con gli altri uomini perché non mi fidavo più di loro. Non credevo che quegli stessi esseri umani che avevano sganciato una bomba micidiale da un aereo  potessero essere capaci di nutrire buoni sentimenti. Loro avevano progettato e sganciato la bomba, io avevo inconsciamente preparato le basi per la sua realizzazione.
Avevo perso totalmente fiducia negli uomini e consideravo i miei simili come bestie fameliche capaci solamente di compiere nefandezze.
Continuare a vivere da alienato è stata l’unica soluzione che mi ha permesso di andare avanti. Ultimo tra gli ultimi, invisibile tra gli invisibili.
E poi sei arrivato tu, Simone, con il tuo sguardo limpido e la tua generosità. Inizialmente non mi fidavo di te perché ti consideravo cattivo, un essere capace di commettere atti orrendi come il resto degli uomini,.
Ti ho allontanato, ti ho ignorato e ti ho respinto in tutti i modi. Ho risposto con indifferenza ai tuoi gesti benevoli.
La tua perseveranza e la tua bontà d’animo hanno saputo crearsi un varco nella mia anima ferita e hanno conquistato la mia fiducia.
Mi hai dato tanto senza chiedere niente in cambio. Mi hai aiutato senza pretendere risposte e senza secondi fini. Hai trascorso le tue giornate a fare compagnia a un vecchio barbone che scarabocchiava le panchine di un parco.
Grazie di cuore, Simone. Mi hai ridato fiducia nell’uomo e mi hai insegnato ad aprire nuovamente il mio cuore al prossimo.
Chiedo scusa a te, come rappresentante dell’intera umanità, per le mie pesantissime colpe.
Ho dedicato la mia vita alla scienza affinché la vita dell’uomo migliorasse, non per farlo soffrire.
Ti cedo tutto quello che possiedo. Adesso devo andare.
Philippe.

Gli occhi di Simone e Odalys si erano riempiti di lacrime e, con sguardi increduli, rileggevano quelle frasi cercando di scoprire un significato nascosto.
Il loro amico clochard era uno scienziato. Si era auto-escluso dal mondo per punirsi e si sentiva responsabile della morte di migliaia d’innocenti.
Ma Philippe non aveva colpe, non era lui che aveva forgiato la natura umana. Era quest’ultima considerazione che faceva disperare i due ragazzi, la consapevolezza che quell’uomo si era caricato ingiustamente sulle spalle il dolore e la sofferenza dell’intera umanità.
Vedendo i due ragazzi visibilmente emozionati, il notaio gli propose un bicchiere d’acqua e dei fazzolettini. Poi riprese a parlare.
– Ragazzi, non vi chiedo cosa ci sia scritto nella lettera perché è un documento personale. Io, però, devo completare il mio lavoro.
– Non c’è bisogno, lo interruppe Simone. La lettera dice che Philippe ci lascia tutto ciò che possiede. Abbiamo già recuperato il bassotto Filou nel suo monolocale.
– Caro signor Puglisi, rispose il notaio, come le ho detto poco fa, non bisogna fidarsi delle apparenze. Filippo Maggiorana non era così povero come voleva fare credere. Non so come abbia trascorso il resto della sua vita, ma di certo ha accumulato un discreto capitale. Se mi lascia parlare le elencherò ciò che adesso appartiene a voi.
Il signor Lemaitre raddrizzò gli occhiali da vista che scivolavano sul naso sudato e cominciò a leggere un documento che aveva preso da un cassetto della scrivania.
– Io sottoscritto Filippo Maggiorana, nato a Foggia il 7 giugno 1920, nel pieno delle mie facoltà mentali e in piena libertà, decido di trasferire al signor Simone Puglisi le seguenti proprietà di mia possessione: il monolocale della rue du Petit Musc, l’appartamento avente una superficie di cento metri quadri situato sul boulevard Voltaire, nell’undicesimo arrondissement di Parigi, e la totalità delle somme contenute nel mio conto in banca per un montante totale di tre milioni di euro.
– E’ uno scherzo? Chiese Simone incredulo.
– Le assicuro che è tutto vero. Sono un vero notaio e questa non è una candid camera.
Simone e Odalys rimasero a lungo senza parole. Erano stati travolti dal peso di una verità inaspettata e non riuscivano a credere alla svolta che gli eventi avevano preso.
– Tornate quando volete per finalizzare la procedura. Basteranno pochi minuti per firmare i documenti, disse il notaio che aveva intuito l’emozione palpabile dei due ragazzi.
– Si, andiamo via per il momento. Siamo sconvolti, disse Odalys prendendo la mano di Simone.
– Torneremo presto a farle visita, concluse il ragazzo rivolgendosi al notaio. Eravamo venuti a cercare Philippe e abbiamo trovato Filippo Maggiorana, le sue inaspettate rivelazioni e un’enorme eredità. Rifletteremo sulle informazioni che abbiamo appena appreso e prenderemo una decisione al più presto.
Simone pronunciò queste parole con un filo di voce, ancora scosso dagli eventi che nelle ultime ore gli avevano cambiato la vita e uscì dallo studio notarile tenendo la sua compagna per la mano.
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La XII (e ultima) puntata tra cinque giorni…

Una storia parigina – X

La scomparsa

La scomparsa

Arrivato puntuale in prossimità del parco, Simone non aveva visto la sagoma curva del senzatetto e si era subito impensierito. Si era seduto una decina di minuti aspettando invano il suo arrivo.
Assalito da una crescente preoccupazione, aveva cominciato a percorrere in lungo e in largo il corridoio esterno dell’ospedale e il parco. Dove era finito il suo amico dagli occhi espressivi? Non se ne faceva una ragione. Quell’uomo era solito riposare in quel posto e la sua assenza lo inquietava. Aveva cominciato a chiedere informazioni agli altri barboni presenti in zona, ma nessuno sembrava avere notizie di Philippe.
– Posso sapere cosa stai facendo? Chiese Odalys sorpresa di trovarlo in un evidente stato di agitazione.
– Philippe è scomparso, rispose il ragazzo alzando le braccia in segno di disperazione.
– Non ti sembra di esagerare? Starà sicuramente schiacciando un pisolino sotto un albero o si starà facendo un goccetto lontano da qui.
– No, non è possibile. E’ il tipo più abitudinario che conosco e a quest’ora sta sempre seduto su quella panchina a scarabocchiare qualcosa. Anche la tua seconda ipotesi non sta in piedi perché non l’ho mai visto bere alcool o vino, replicò Simone cercando di razionalizzare la situazione e di considerare tutte le eventualità.
– Secondo me, stai precipitando le cose. Ci sarà sicuramente un ottimo motivo che giustifica la sua assenza.
– Se lo dici tu. Io, però, ho un cattivo presentimento; concluse il catanese pensieroso.
La sua apprensione si placò leggermente alla vista di Verlaine che si avvicinava in compagnia del suo inseparabile dalmata.
– Ciao amico mio, gli disse il siciliano contento di incontrarlo. Non è che per caso hai notizie di Philippe? Non si è fatto vivo tutto il giorno e nessuno sembra averlo visto.
– Cercavo proprio te, Simone. Ho due notizie da darti, una riguarda me e l’altra Philippe.
Per quanto mi riguarda, ho riflettuto a lungo alle discussioni che abbiamo fatto insieme e sono giunto alla conclusione che hai ragione tu. Non si può sperare di cambiare la società ponendosi ai suoi margini e rifiutandola in blocco. Bisogna impegnarsi, raccogliere critiche edificanti e trasformarle in azioni concrete, incontrare altra gente, confrontare punti di vista diversi, pianificare le tappe di una radicale riforma del sistema. Ho deciso di abbandonare la vita da escluso e alienato che ho intrapreso e di collaborare con quegli uomini che credono che un mondo migliore sia possibile. La mia idea è quella di creare un’associazione di persone capaci di partorire idee innovative finalizzate al bene della collettività e, magari, un domani ostacolare le politiche vigenti, figlie di loschi personaggi corrotti e senza scrupoli.
La mia maturazione mentale è stata graduale e si è realizzata soprattutto grazie a te. Sei tu il demiurgo che ha plasmato le idee confuse nella mia testa e ha creato un uomo nuovo in grado di ragionare e di credere in un possibile cambiamento. Grazie!
– Sono felicissimo! Sapevo che saresti ritornato sui tuoi passi. Sei un tipo troppo intelligente per rinunciare a lottare. Adesso ti prego dammi notizie di Philippe.
– Ah si, quasi dimenticavo. Ho incontrato ieri sera il tuo amico, seduto sulla solita panchina. Mi ha chiesto di darti questa busta.  Ho cercato di ottenere maggiori informazioni, ma non ha detto niente a parte il tuo nome. Lo sai meglio di me, parlare con lui è quasi impossibile.
Simone aprì il plico e lo esaminò attentamente. Si aspettava di trovare una lettera o un messaggio che giustificasse l’assenza del suo compagno. La busta bianca, invece, conteneva una chiave e un foglietto che il ragazzo prese tra le mani in cerca di risposte.
Era un indirizzo: 12 rue du Petit Musc, 75004, codice AB25A, scala C, sesto piano, porta centrale.
– Grazie Verlaine, sei stato prezioso. Devo scappare adesso. In bocca al lupo per la tua nuova avventura, disse Simone prendendo per mano Odalys e dirigendosi velocemente verso la rue du faubourg Saint Antoine.

Il siciliano aveva fermato un taxi e aveva mostrato al conducente l’indirizzo impresso sul cartoncino.
– E’ molto distante? Chiese Simone all’attempato taxista.
– Non è molto lontano da qui. Arriveremo in un quarto d’ora, rispose il conducente mostrando il tragitto sullo schermo del navigatore.
– Non perdiamo tempo. Vada più veloce che può, per favore. E’ importante.
La Mercedes grigia era partita sgommando e, zigzagando nel caos del traffico parigino, aveva raggiunto la rue du Petit Musc in breve tempo.
– Grazie per la corsa, disse il catanese porgendo un banconota da venti euro.
– In bocca al lupo, ragazzo.
Simone e Odalys si ritrovarono davanti a un portoncino verde affiancato da una tastierina in metallo.
Dopo aver verificato che si tr attasse del numero civico esatto, Simone  compose il codice sulla tastiera del digicode e spinse il portone che sbarrava l’accesso.
Penetrati all’interno, si guardarono intorno e osservarono con stupore la ricchezza delle decorazioni che abbellivano l’ingresso: rigogliose fioriere, eleganti specchi, mobili in legno pregiato, lampadari finemente rifiniti e tappeti variopinti.
La scala C era la scala di servizio e non era dotata dello stesso fasto che caratterizzava l’entrata del palazzo.
Una malandata rampa di scale in legno permetteva l’accesso a una zona dell’edificio occupata da piccoli appartamenti.
Come la maggior parte degli edifici nobiliari risalenti agli inizi del XIX secolo, il palazzo comprendeva una zona destinata alle chambres de bonne, minuscole stanze utilizzate per ospitare la servitù che all’epoca lavorava nelle ricche case adiacenti.
Quelle insalubri camerette, che un tempo ospitavano i domestici reclutati per occuparsi delle mansioni domestiche, accoglievano adesso studenti squattrinati e lavoratori sottopagati in grado di permettersi solo quel tipo di alloggio.
I due ragazzi arrivarono al sesto piano con il fiatone. Simone recuperò velocemente la chiave che custodiva nella tasca anteriore del jeans e la infilò nella serratura della porta centrale; una porta anonima, semplice e priva di ogni indicazione relativa all’identità dell’occupante.
Il ragazzo aprì la porta. La stanza era immersa nella penombra.
Cercò l’interruttore sul muro ma il contatto elettrico sembrava non funzionare e la
camera rimase avvolta dall’oscurità.
Si diresse verso la finestrella da cui penetravano fiochi raggi di sole e la spalancò per permettere alla luce di illuminare l’appartamento.
Simone e Odalys rimasero a bocca aperta alla vista dell’insolito spettacolo che si presentò davanti ai loro occhi increduli.
Le pareti bianche, il parquet del pavimento, il soffitto, le finestre e persino i mobili erano ricoperti di strani simboli.
Avvicinandosi alla parete, Simone riconobbe le enigmatiche formule matematiche che Philippe era solito scrivere sulla panchina dell’ospedale.
Parentesi tonde, quadre e graffe, polinomi a più variabili, equazioni e funzioni algebriche ricoprivano l’esigua superficie della stanza e le conferivano l’aspetto di un mausoleo egizio tappezzato da geroglifici indecifrabili.
Oltre alle formule matematiche, il giovane catanese riconobbe anche alcuni legami chimici e varie leggi della fisica che aveva studiato in gioventù; tuttavia i suoi ricordi liceali non erano tali da permettergli di capirne il significato.
La stanza, che misurava una quindicina di metri quadrati, era dotata di un ridottissimo angolo cucina che si traduceva in un cucinino elettrico e un minuscolo lavandino.
Lo scarno arredo era costituito da un divano polveroso, un comodino, una sedia pieghevole e un tavolo posto al centro dello spazio abitabile.
L’attenzione di Simone fu attirata da un biglietto posto sopra il tavolo, un cartoncino bianco situato perfettamente al centro.
A parte i pochi elementi d’arredamento, quel biglietto era l’unico oggetto di tutta la stanza.
Non c’erano libri o quaderni, non c’era una televisione o una radio, non c’erano vestiti o scarpe, non c’erano quadri, non c’erano lampade. Solamente un cartoncino bianco.

Simone prese il biglietto fra le mani e si rese conto che si trattava di un biglietto da visita:
Fabien Lemaitre – Notaire – 25, rue de Turenne – 75004 Paris.
– Cosa c’è scritto? Chiese Odalys fissando il cartoncino.
– E’ l’indirizzo di un notaio. Philippe lo ha lasciato sopra il tavolo affinché lo trovassimo. E’ la nostra prossima destinazione, rispose Simone con un’espressione interrogativa.
– Ma che c’entra un notaio con un senzatetto? Sembra tutto così assurdo!
– Io pensavo che Philippe non avesse nemmeno una casa. Invece possiede questo piccolo monolocale.
– Ma dove si è andato a cacciare? E perché l’indirizzo di un notaio?
– Sono le stesse domande che mi pongo. L’unica soluzione è andare subito in rue de Turenne. Possiamo raggiungerla a piedi in poco tempo.
Sulla soglia dell’appartamento, Simone e Odalys furono incuriositi da un rumore proveniente da una porticina a cui non avevano fatto caso fino a quel momento.
Era la porta del bagno che includeva solamente il water e il lavandino. Rannicchiato ai piedi del gabinetto, un bassotto scodinzolava di gioia per l’arrivo dei due ragazzi.
– E’ Filou! Esclamò Simone prendendolo in braccio.
– Povero cucciolo! Aggiunse Odalys inteneritasi davanti al cagnolino. Portiamolo con noi. Non possiamo lasciarlo qui.
– D’accordo. Ora muoviamoci, non c’è tempo da perdere.
– Immagino che stiamo correndo dal notaio, lo interrogò in maniera retorica la ragazza.
– Certo. Voglio sapere cosa è successo.
– Mi dispiace arrestare la tua emozionante caccia al tesoro, ma a quest’ora il tuo notaio ha lasciato lo studio già da un pezzo. Dovrai aspettare fino a domani per svelare l’arcano mistero.
– Che stupido! Non mi ero reso conto che si è fatto tardi.
– Calmati e sii paziente. Tra poche ore otterrai le risposte che cerchi.
– Hai ragione. In ogni caso non possiamo far niente fino a domani.
– Si, torniamo a casa. Dicono che la notte porti consiglio.
– Allora andiamo a farci consigliare dalla notte.
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La XI puntata tra cinque giorni…