Utilizzando quotidianamente la metropolitana come mezzo di trasporto, si sviluppano inconsciamente piccole abitudini alle quali spesso non facciamo caso.
Compio ogni mattina lo stesso tragitto per recarmi al lavoro e con il passare dei giorni mi sono reso conto delle abitudini che si sono automatizzate nel mio percorso giornaliero: effettuo il cambio per prendere la corrispondenza in una stazione precisa per risparmiare tempo, utilizzo sistematicamente un passage interdit per accorciare il cammino, getto un’occhiata veloce ai cd masterizzati dello sri lankese di turno, mi siedo in uno dei tanti strapontins (i sedili pieghevoli) che preferisco ai sedili classici nei quali è facile restare impelagati a causa del groviglio umano e della calca che regolarmente si crea.
Questa mattina mi sono reso conto che una nuova abitudine si è aggiunta alle tante che ormai costellano le tappe del mio percorso: la scommessa della porta.
Ogni volta che scendo dalla metropolitana per intraprendere il cammino che mi porterà al lavoro o a casa, mi lascio alle spalle il serpentone metallico che emette un suono di sirena per invitare i ritardatari a sbrigarsi a scendere o a salire.
Dopo aver emesso il suo impetuoso squillo, la metro chiude inesorabilmente le porte sbarrando l’accesso ai molti viaggiatori che per pochi secondi non sono riusciti ad entrare nel vagone.
Da qualche mese a questa parte ho sviluppato la sadica abitudine di scommettere, nel momento in cui scendo dal vagone e mi accingo ad allontanarmene, sui passeggeri che cercano disperatamente di non perdere la metro.
Quando mi allontano dal vagone identifico immediatamente dei possibili candidati sui quali scommettere: uomini d’affari che si esibiscono in scatti da record mondiale pur di riuscire a prendere la metro, mamme che trascinano bambini piagnucolanti, studenti carichi di zaini ingombranti o semplici turisti che non vogliono perdere minuti preziosi della loro vacanza.
Identificato il protagonista della mia scommessa mentre scende le scale affannosamente e si divincola tra la calca umana formata dal flusso di passeggeri che escono dalla metro, mi dico “Questo non ce la fa”.
E cosi, dopo che la sirena della bestia metallica targata RATP ha emesso il suo ultimo stridente sibilo e il corridore prescelto ha superato il mio campo visivo, mi giro repentinamente per conoscere l’esito della mia scommessa.
Un perverso brivido di compiacimento mi assale mentre osservo morbosamente le porte chiudersi in maniera brusca davanti lo sguardo incredulo e disperato del malcapitato che ha perso la metro.
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