Una delle più gravi piaghe che affliggono Parigi è costituita dai cosiddetti pickpockets ovvero i ruba-portafoglio che rappresentano un rischio concreto per i tanti turisti che ogni anno visitano la capitale francese.
Organizzati in bande o da soli, questi piccoli lestofanti agiscono approfittando dei momenti di distrazione dei viaggiatori e della loro scarsa vigilanza.
I minuti ladruncoli operano spesso lungo le banchine della metropolitana aggirandosi tra la folla ignara e colpendo soprattutto alcune stazioni e alcune linee (1, 4, 7, 8 e 9 in particolare).
Fate sempre attenzione agli annunci che vengono diffusi dagli altoparlanti e se sentite la parola pickpocket mettevi subito sull’allerta.
Gli avidi ragazzini, per la maggior parte provenienti dall’Europa dell’Est, allungano le viscide manine tra zaini e borse e tornano a casa con un lauto bottino: cellulari, soldi, gioielli, macchine fotografiche e tanto altro.
Se volete evitare di rovinare la vostra vacanza a Parigi facendovi rubare soldi e documenti, tenete sempre gli occhi aperti e diffidate da gente sospetta che si avvicina con qualche losco pretesto.
State maggiormente attenti quando passate nei luoghi turistici per eccellenza (musei, monumenti e piazze famose) poiché è in quelle zone che si annidano pericolosi e malintenzionati personaggi.
Spesso, inoltre, gli abili delinquenti inventano ingegnosi pretesti per avvicinarvi e intrappolarvi nella loro ragnatela.
Un esempio tipico è il caso della zingara che fa finta di trovare un anello proprio accanto ai vostri piedi e che vi chiede se sia caduto dal vostro zaino o dalla vostra borsa.
Attraverso questo stratagemma la piccola pickpocket vi studia e si prepara a lanciare il suo attacco rubandovi i vostri averi.
La principale abilità dei pickpockets consiste nel distogliere l’attenzione delle vittime e punire inesorabilmente la loro momentanea distrazione.
Provenienti dai campi nomadi di Montreuil, Seine-Saint-Denis e La Courneuve, i giovani adolescenti che compiono questi furti sono in prevalenza minorenni.
Aggressivi e irriverenti verso le forze dell’ordine, i pickpocket godono di un paradossale sentimento d’impunitá: in caso di arresto, i giovani ladri vengono trattenuti qualche ora al commissariato e rilasciati poco dopo senza alcuna conseguenza.
Premessa: Italiani a Parigi non è un blog politico.
E’ un blog che ho creato per condividere con quanti amano Parigi le mie esperienze nella capitale francese.
Tuttavia, come affermava Aristotele, “L’uomo è un animale politico” e ogni uomo deve esprimere il suo pensiero politico e la sua opinione sugli accadimenti che riguardano la collettività.
Sono pienamente d’accordo con il filosofo greco che diceva che“non sono politici nè gli animali nè gli dei ma solo l’uomo lo è, perchè legato ad una vita comunitaria con gli altri”
Per questo motivo ritengo giusto che anche un blog di natura sociale e culturale condivida la sua visione politica.
L’ultima volta che in questo blog si è parlato di politica era il 14 novembre 2011 e nel post intitolato Addio Berlusconi si parlava della fine dell’era Berlusconi.
Il 12 novembre 2011 l’ex premier Silvio Berlusconi rimetteva il suo mandato al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che avrebbe in seguito affidato le redini del governo a Mario Monti.
Le dimissioni di Berlusconi furono accolte da una folla festante che celebrava la liberazione dell’Italia da un fardello divenuto oramai intollerabile.
La piazza del Quirinale traboccava di gente in visibilio per l’abdicazione del dimissionario capo del governo e per la fine di uno dei periodi più bui della storia del Paese: decine di bottiglie di champagne furono stappate per celebrare l’evento e la folla eccitata sfilò per le vie della capitale sventolando striscioni che inneggiavano alla giustizia e alla democrazia.
Tuttavia l’articolo del 14 novembre si concludeva stigmatizzando il pericolo rappresentato dal berlusconismo, una terribile mentalità arrivista sviluppatasi a macchia d’olio grazie a una lunga e sapiente manipolazione mediatica.
Scomparso Berlusconi dalla scena politica, i tentacoli del berlusconismo hanno continuato ad avvinghiare l’Italia come le spire di un serpente a sonagli e hanno lasciato pressoché immutata la situazione del Paese.
Approfittando dell’immobilismo intellettuale e dell’assenza di una valida alternativa politica, il cavaliere senza macchia e senza paura ci riprova: Berlusconi riscende in campo.
Vomitando frasi ad effetto del tipo “molti chiedono il mio ritorno” o “il Paese è sull’orlo del baratro e ha bisogno di me”, il biscione come l’araba fenice risorge dalle proprie ceneri per riprendere quel potere da cui era stato spogliato.
E così, a poco più di un anno di distanza dall’avvento del governo Monti, ci ritroviamo a discutere ancora una volta delle stesse cose, delle stesse facce e della stessa insopportabile stagnazione politica.
Piccoli segnali positivi si sono manifestati timidamente lanciando un barlume di speranza nell’oscurantismo dominante la scena politica italiana.
Le recenti primarie del centro-sinistra, culminate con l’elezione di PierLuigi Bersani come candidato premier, hanno senza dubbio rappresentato un bel momento di democrazia per il nostro Paese.
In realtà tolta la graziosa patina di pseudo-democrazia, le primarie del PD hanno enfatizzato le gigantesche lacune della sinistra che sulla carta dovrebbe difendere i lavoratori, i proletari, le classi meno abbienti e soprattutto incarnare un cambiamento radicale rispetto alla situazione vigente che impone l’austerità.
Il risultato delle primarie è stata l’elezione di un dinosauro della politica come Bersani, un esito gattopardesco all’insegna del “tutto cambia affinché nulla cambi”, un finale di partita simbolico e sintomatico di una classe politica attaccata alla poltrona e a una mentalità reazionaria finalizzata a mantenere lo status quo attuale in cui pochi godono di smisurati privilegi e il popolo e costretto a sacrifici, lacrime e sangue.
L’elezione di Bersani è stata giustificata dall’assenza di un’alternativa valida visto che il suo oppositore Renzi rappresentava più gli ideali di destra e una mediocre visione capitalista che non i valori di base della sinistra.
In occasione delle primarie i principali giornali hanno parlato di un grande momento di democrazia della politica italiana.
Personalmente mi è sembrata una grossa buffonata.
In primo luogo perchè chi ha votato ha dovuto pagare un obolo di 2€.
Potreste spiegarmi dove sta la logica di chiedere il pagamento di 2€ a ogni elettore quando il PD riceve cifre astronomiche di finanziamento pubblico dallo Stato?
In secondo luogo perchè il PD dovrebbe rappresentare una forza di opposizione con un programma rivoluzionario rispetto alla politica attuale di Mario Monti che da quando è salito al governo non ha fatto altro che chiedere sforzi agli italiani?
Giustificando le sue scelte con i sacrifici richiesti all’Italia dalle politiche europee e dalla BCE, il premier italiano sta facendo ingoiare una pillola (o meglio una supposta) amara agli italiani.
Monti e il suo pool di professori bocconiani hanno scelto di trovare i soldi necessari a sfamare i famelici banchieri europei frugando nelle tasche più facilmente raggiungibili, quelle dei più poveri, instaurando nuove tasse e sfoderando una crudele politica di austerità che ha messo in ginocchio il Paese.
La sinistra dovrebbe promulgare una politica radialmente opposta rispetto a quella di Monti, invece Bersani ha dichiarato di allinearsi alla visione dell’ex dirigente della banca Goldman Sachs.
Monti, ritrovatosi al governo in virtù di un vero e proprio golpe finanziario, si nasconde dietro un dito e gli sforzi che chiede agli italiani non mirano a soddisfare la comunità europea ma le banche europee e gli avidi mercati internazionali che hanno privato gli stati nazionali del loro potere.
In ultima analisi se si decantano le primarie come un sublime strumento di democrazia che permette al popolo di scegliere i suoi rappresentanti perchè la fazione politica opposta, ovvero il centro-destra non ha fatto la stessa cosa?
Perchè non appena Berlusconi annuncia di scendere in campo si fanno da parte a tutti per lasciare il posto allo spavaldo cavaliere?
Non sarebbe più giusto indire le primarie anche nel PDL a prescindere dalla posizione di Silvio il magnifico?
O forse l’intero popolo della libertà è legato alla figura di Berlusconi e pende dalle sue labbra dorate?
In questo caso si tratterebbe allora di un partito senza alcuna caratura politica e popolato da sagome informi pronte a farsi da parte per lasciare campo libero al proprio sovrano?
Si è trattata di una farsa finalizzata a mantenere lo stato attuale delle cose lasciando che la dittatura dei mercati continui a strozzare le famiglie italiane.
A distanza di un anno non è cambiato nulla.
Berlusconi cavalca fieramente l’immobilità della scena politica proponendo nuovamente la sua candidatura.
Diciassette anni di dominio sull’Italia non sono stati sufficienti per ridurla in brandelli, è necessario un nuovo intervento per darle il colpo di grazia.
Le amazzoni e i fedelissimi del cavaliere hanno già uscito le grinfie per riattaccarsi al potere e il faccione lucente dell’ex-premier ricomincia a campeggiare sulle principali reti televisive.
Berlusconi e il PDL hanno deciso di far cadere quella spada di Damocle che reggevano svogliatamente sulla testa di Monti e di staccare la spina a questa compagine temporanea fatta di tecnici e professori che per poco più di un anno ci hannno impartito una triste lezione universitaria incentrata sul tema del sacrificio e dell’austerità.
Come mai mister B. ha deciso di togliere il suo appoggio al governo Monti proprio adesso? La risposta è semplice. Berlusconi si candida per la sesta volta alla presidenza del consiglio per impedire al governo di approvare la legge sull’incandidabilità a tutte le cariche pubbliche dei condannati e di riformare la legge elettorale (e quindi andare al voto con il Porcellum).
Il PDL e Berlusconi rispolverano i vecchi slogan demagogici per tornare a portare avanti i propri squallidi interessi a discapito di quelli degli italiani.
Il cavaliere afferma che l’Italia sull’orlo dell baratro ha bisogno di lui per risollevarsi ma sarebbe più opportuno che il leader del PDL si ponesse la domanda retorica riguardo a chi ha ridotto il Paese in questo stato pietoso?
In questo scenario di desolazione politica dove veline, portaborse, letterine, olgettine e altri biechi personaggi ricominciano a uscire dalle tane dove si erano nascosti, l’unica valida alternativa sembra essere il movimento cinque stelle di Beppe Grillo.
Da quando il movimento è nato, il mondo politico e i giornalisti hanno tentato in tutti i modi di screditarlo facendo leva sull’inesperienza dei suoi componenti.
In realtà l’unica forza politica che sembra essere foriera di un rinnovamento politico e che presenta finalmente volti nuovi da inserire nel panorama politico italiano è proprio il movimento di Grillo.
Un famoso proverbio recita “meglio il cattivo conosciuto che il buono da conoscere” ma in questo caso la saggezza popolare non ha ragione.
Penso che sia giusto dare una possibilità a questa nuova forza politica che si presenta agli italiani partendo da principi elementari che tuttavia gli altri partiti ignorano come, per esempio, il fatto di essere incensurati.
Gli attivisti del movimento propugnano una politica anti-partitica, rifiutano i contributi elettorali statali, promuovono la partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica attraverso Internet, mirano al rispetto dell’ecologia e a una maggiore giustizia sociale.
I media cercano di infangare Grillo definendolo un padre-padrone che comanda tirannicamente il movimento o come uno sprovveduto che si fa guidare dal guru Casaleggio.
Grillo, spogliatosi dalle vesti di comico, sa bene quello che sta creando e fa bene a vietare ai membri del movimento di andare in televisione dove sarebbero facili prede della demagogia e dei politicanti da quattro soldi molto più avvezzi a sgomitare nei dibattiti politici.
Quando Berlusconi scese in campo per la prima volta nel 1994, gli italiani decisero di dargli fiducia e testare le qualità politiche di quest’uomo che si era fatto da solo.
Accecato dalle paillettes e dalle luci policrome dei programmi Mediaset, il popolo italiano si affidò al selfmade man per risollevare le sorti del Paese auspicando che Berlusconi facesse in politica quello che era stato capace di fare come imprenditore.
Il drammatico risultato di questo esperimento e di questa fiducia riposta in uomo carismatico interessato più ai suoi interessi che a quelli dell’Italia lo conosciamo tutti.
Perchè non fidarsi adesso di volti nuovi, di gente che ha deciso di mettere la propria faccia e le proprie energie a disposizione del Paese, di un movimento che si propone di cambiare radicalmente lo stato delle cose?
L’unica fioca brezza di cambiamento soffia in direzione del movimento 5 stelle, l’Italia sarà in grado di cogliere questo vento di novità o dominerà la mentalità reazionaria che fino adesso si è rivelata fallimentare?
La drammatica crisi mondiale in atto è oramai diventata l’argomento centrale di discussione tra la classe politica che non ha ancora trovato adeguate soluzioni e vie di salvezza e tra i semplici cittadini che si pongono inquietanti domande sul proprio futuro.
Da qualche tempo a questa parte a colazione mangiamo pane e spread: appena svegli, pur non avendo mai capito nulla di economia, ci aggiorniamo sull’evoluzione dell’oramai celebre dato che ci informa sul differenziale tra il tasso di rendimento dei bond tedeschi (Bund) e quelli italiani (Btp).
La nazione capeggiata dalla cancelliera Angela Merkel viene scelta come termine di paragone perchè la Germania è considerata lo stato dell’area euro più stabile finanziariamente.
Lo spread viene seguito con molto interesse e preoccupazione poichè permette di capire la solidità e la stabilità di uno Stato.
Questo famoso indice di valutazione è strettamente legato al debito pubblico del Paese e consente di capire quando si naviga in cattive acque.
L’avvicinarsi della crisi è evidente quando una nazione emette titoli di stato soltanto per finanziare il proprio debito: a quel punto l’entrata economica, destinata a ripagare il debito, non ha più fini produttivi e gli investitori diventano diffidenti verso il mercato.
Si instaura, allora, un drammatico circolo vizioso in cui la poca fiducia dei mercati riduce fortemente la domanda dei titoli aumentandone il rendimento e accelerando inesorabilmente il processo d’indebitamento.
Purtroppo la situazione descritta sopra assomiglia molto all’attuale andamento dell’economia italiana e degli altri stati europei incappati nello spettro della crisi e della recessione.
Gli stati artefici della crisi europea sono stati dispregiativamente etichettati con l’acronimo PIIGS (maiali) derivato dalle iniziali degli stati in questione (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna), quasi a voler significare che l’ingordigia speculativa e la politica dissennata di questi Paesi mediterranei sta trascinando lentamente l’Europa verso il baratro.
Di fronte a questo scenario apocalittico, l’unica soluzione per il governo è la riconquista della fiducia del mercato e l’adozione di una politica di riduzione del debito pubblico.
Il nuovo premier Monti e i suoi ministri bocconiani (provenienti esclusivamente da università del nord) si sono insediati al governo da un paio di settimane e il popolo italiano attende speranzoso che la manna scenda dal cielo e che le gesta eroiche dei salvatori della patria si compiano.
Tuttavia il tempo passa rapidamente e le misure non arrivano.
Accantonata l’euforia per la tanto attesa abdicazione di Berlusconi, gli italiani iniziano a sentire la pressione dell’Europa personificata negli acidi e inopportuni rimproveri di Sarkozy e delle banche che dettano le loro condizioni.
Da Nord a Sud, lo Stivale attende di conoscere quali saranno le misure adottate da questa nuova realtà governativa per fronteggiare la crisi e rilanciare l’economia.
Le immagini della nuova “Triplice Alleanza” Merkel-Sarkozy-Monti hanno rimpiazzato la squallida fotografia del duo “Merkozy” che si prendeva allegramente gioco della crisi economica italiana nelle mani di un inetto Berlusconi giunto alla fine del suo regno.
L’Italia ha sicuramente riacquistato credibilità (non ci voleva tanto considerando la caratura del precedente governo) a livello europeo e mondiale ricominciando a sedersi al tavolo delle trattative dal quale era stata miseramente esclusa.
Oltre alla credibilità gli italiani aspettano la concretezza e i fatti.
Angela Merkel e Nicolas Sarkozy hanno dichiarato di essere rimasti impressionati dalle misure illustrate recentemente da Mario Monti per risollevare le sorti dell’Italia.
Personalmente sono rimasto “impressionato” dal fatto che Monti abbia presentato le sue intenzioni all’Europa prima che al parlamento italiano.
Adombrato da un governo fatto esclusivamente di tecnici, il parlamento italiano ha perso la sua essenziale funzione politica ma dovrebbe conservare pur sempre la sua funzione democratica!
Augurandomi che non siano sempre gli stessi a dover versare “lacrime e sangue” e sacrificarsi, spero che le riforme del neo-governo costringano a pagare di più chi possiede di più, abbiano un occhio di riguardo per chi arriva a stento alla fine del mese e siano finalizzate a una più equa distribuzione delle ricchezze.
Una crisi profonda che accomuna tragicamente i paesi della parte più sviluppata del pianeta che si ritrovano concatenati in una spirale perversa: se fallisce l’Italia fallisce l’Europa, se fallisce l’Europa fallisce l’economia statunitense realizzando un letale effetto papillon.
La maggior parte delle persone che hanno analizzato la crisi economica attuale sono arrivate a dire che la radice del problema è la crisi finanziaria, l’avidità degli speculatori, le manovre sbagliate delle banche, la complicità delle agenzie di rating e gli eccessi del sistema finanziario.
Alcuni economisti e pensatori hanno proposto di mettere una nuova imposta sulle transazioni finanziarie, la cosiddetta Tobin tax (così chiamata dal nome dell’economista e premio Nobel che la ha suggerita), per limitare le speculazioni.
E’indubbio che le conseguenze della crisi finanziaria sulla vita economica e sociale sono state pesantissime, ma siamo sicuri che la Tobin tax risolverebbe da sola la crisi?
Se pur si risolvesse attraverso una panacea miracolosa la difficile situazione in cui versa l’economia finanziaria, resterebbe da dirimere il problema dell’economia reale.
Dal punto di vista dell’economia reale, la crisi affonda le sue radici intorno alla fine degli anni 70 che furono caratterizzati dalle manovre di Margaret Thatcher in Inghilterra e Ronald Reagan negli USA.
La famosa Lady di Ferro con la sua politica conservativa aveva rilanciato il liberalismo attraverso un attento piano di privatizzazioni dando nuovo vigore all’economia inglese.
La Thatcher fu capace di prendere in mano le redini di un Paese, l’Inghilterra degli anni 70, decadente e distrutto e trasformarlo in una nazione moderna e ricca.
Tuttavia la Thatcher con il suo liberalismo selvaggio ha amplificato la crisi dell’economia reale.
Privatizzando a ruota libera, chiudendo le miniere e lottando contro le rivendicazioni di lavoratori e sindacati, la Thatcher ha rinvigorito l’economia inglese ma ha drammaticamente allargato il divario e le diseguaglianze tra poveri e ricchi.
Le classi medie si sono ritrovate impelagate in un immobilismo deleterio che le ha fatte scivolare lentamente verso un alto livello d’indebitamento.
Se l’uscita dalla crisi appare sempre più lontana, la sua gravita si mostra pienamente in tutte le aree dell’opulento Occidente.
Un segnale emblematico e preoccupante del sentimento di crisi e della precarietà in cui versano migliaia di famiglie americane è stato il Black Friday, il giorno successivo al Giorno del ringraziamento (Thanksgiving day) in cui numerose catene commerciali e grandi magazzini, come Walmart, hanno offerto sconti eccezionali per lanciare il periodo dello shopping natalizio.
In questa occasione è stato possibile osservare il drammatico risultato del sistema capitalistico e le crepe di una crisi profonda.
I negozi, aperti molto presto la mattina (a volte anche alle 4!), hanno accolto una folla inferocita di gente disperata pronta a tutto pur di accaparrarsi le migliori offerte.
La possibilità di risparmiare qualche soldo si è trasformata in frenesia collettiva e si producono scene di assurda irrazionalità.
In occasione dell’ultimo Black Friday un signore di 61 anni è deceduto tra la folla che ha continuato a calpestarlo, una donna ha utilizzato una bomboletta spray al peperoncino per allontanare la gente e poter acquistare una Xbox a prezzo stracciato e tantissime sono state le persone ferite tra la calca umana.
La fine del capitalismo si avvicina a grandi passi e la sua logica insensata e cieca sembra oramai giungere al capolinea.
Alea iacta est come disse Cesare attraversando il Rubicone o se preferite rien ne va plus, les jeux sont faits come dicono qui in Francia.
Il tramonto dell’impero Berlusconi è stato inesorabilmente sancito dalla lettera che il premier ha recentemente inviato all’unione europea per presentare le riforme che intende effettuare per garantire la stabilità economica dell’Italia.
Risulta abbastanza paradossale che in un’epoca dominata dalla tecnologia, dalle intercettazioni e dagli scambi telematici sia una lettera a condannare il governo Berlusconi.
Basta leggere pochi passi della lettera, che illustra in otto punti le riforme previste a breve termine, per capire che si tratta di un vero e proprio testamento con il quale il primo ministro italiano ratifica la fine del suo governo.
La missiva che Berlusconi ha inviato all’UE rappresenta un testamento, a mio avviso, perché contiene propositi irrealizzabili e inattuabili in un paese democratico e rappresenta un drammatico esempio di macelleria sociale.
La lettera d’intenti recapitata a Josè Manuel Barroso e Herman Van Rompuy, alla fine dell’ultimatum di 72 ore imposto all’Italia per presentare le garanzie, prevede sostanziali cambiamenti da realizzare nel corso dei prossimi 8 mesi nell’ambito delle pensioni, del lavoro e della pubblica amministrazione.
La lettera è la risposta del governo italiano alle risatine con cui Angela Merkel e Nicolas Sarkozy hanno confermato davanti agli occhi del mondo che l’Italia è diventata lo zimbello d’Europa.
Personalmente ritengo che i punti sviluppati nel documento di 15 pagine presentato dal premier per tenere a bada Sarkozy e la Merkel (e soprattutto le banche europee) non saranno attuati e porteranno alla definitiva crisi di governo.
Come potranno mai passare le orrende misure proposte da Berlusconi quando il governo non è nemmeno stato capace di mettersi d’accordo sul rendiconto statale?
Il destino del governo sembra ormai segnato e la spada di Damocle, tenuta con due dita dalla Lega Nord, pende inesorabilmente sul suo capo.
I punti chiave della lettera di Berlusconi all’UE prevedono:
– Pensioni: Uomini e donne andranno in pensione a 67 anni a partire dal 2026
– Lavoro: Maggiore flessibilità richiesta ai lavoratori e licenziamenti più facili che tradotto nel linguaggio utilizzato nella lettera corrisponde a “una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato e più stringenti condizioni nell’uso dei contratti para-subordinati“. Viene, dunque, cancellato l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori e irrigidito l’articolo 8 della manovra di agosto.
– Pubblica amministrazione: Un’ulteriore precarizzazione del lavoro attraverso la mobilità obbligatoria del personale e la cassa integrazione tramite “meccanismi cogenti e sanzionatori”.
– Liberalizzazioni e privatizzazioni: In nome del Dio denaro e delle squallide leggi del capitalismo saranno liberalizzati gli orari degli esercizi commerciali.
Le tariffe minime dei professionisti diventeranno “soltanto un riferimento” e saranno “derogabili”. I servizi pubblici locali saranno “completamente liberalizzati“.
Nonostante il caldissimo Consiglio Europeo, tenutosi mercoledì scorso, sembra aver accettato positivamente la lettera d’intenti di Silvio Berlusconi, bisogna considerare la realtà nostrana e contestualizzare i punti proposti dal premier nel clima che si respira nel nostro Paese.
Come farà questo governo a risolvere rapidamente i problemi interni a una maggioranza sempre più frammentata e divisa?
In che modo il governo Berlusconi riuscirà a far inghiottire la pillola amara agli esasperati lavoratori italiani e ai sindacati inviperiti?
La risposta a queste due domande è la chiave di volta per capire se il governo è in grado di attuare quel serrato calendario d’impegni contenuto nella lettera da cui dipende il destino dell’Italia in Europa.
Si tratta di risolvere in pochi mesi la maggior parte dei problemi italiani irrisolti da decenni.
Il testamento del governo attuale è stato stilato e firmato con il sangue dei lavoratori italiani e della povera gente a cui si chiede di andare in pensione sempre più tardi (a 67 anni), di essere disposti a farsi licenziare in base all’umore del datore di lavoro e di diventare ancora più precari e flessibili.
Questo post apre una nuova sezione del blog dedicata ai libri: romanzi o saggi dedicati a Parigi o libri che ho letto e che ho ritenuto degni di considerazione.
Il primo libro di cui vi voglio parlare è Vivo altrove, un libro che mi sta particolarmente a cuore perché tratta delle storie delle decine di migliaia di giovani che, dopo aver riempito il proprio fagotto di belle speranze, hanno lasciato l’Italia per cercare fortuna altrove.
Il libro scritto da Claudia Cucchiarato e pubblicato recentemente da Bruno Mondadori presenta un variegato campionario umano fatto di storie di ragazzi che in Italia non hanno trovato il loro posto.
Tra le tante storie c’è anche la mia, quella di un ragazzo siciliano che mai avrebbe pensato di lasciare la sua isola natale ma che crescendo si rende conto che il suo è un Paese a numero chiuso e che la sola alternativa possibile è quella di “vivere altrove”.
Tuttavia non è della mia storia che voglio parlarvi ma del superbo lavoro realizzato da Claudia che ha saputo rappresentare, usando sfumature agrodolci, un suggestivo spaccato sociologico.
Il libro rappresenta un collage di storie di “ragazzi con la valigia” che per svariati motivi hanno deciso di fare il grande salto verso l’altrove, un mosaico colorato di vite accomunate dalla voglia di andare avanti con le proprie forze e di mantenere la propria dignitá integra.
Ogni storia ha le sue peculiaritá, un suo contesto e una sua motivazione che hanno spinto questi giovani a lasciarsi alle spalle radici, amici e familiari per seguire il proprio destino.
Tutte le storie sono segnate dalla stessa inconfondibile amarezza.
L’opera della Cucchiarato affronta un fenomeno generazionale che riguarda un numero crescente di giovani tra i 25 e i 40 anni che sentono il bisogno di allontanarsi per cercare nuove possibilitá di riuscita.
L’analisi sociologica effettuata da Claudia nel suo libro continua, a fil di rete, grazie al blog www.vivoaltrove.it che offre la possibilitá a tutti di pubblicare la propria storia e di raccontare le proprie vicissitudini lontano dall’Italia e in giro per il mondo.
Claudia Cucchiarato, giornalista, è nata a Treviso nel 1979 e vive a Barcellona dal 2005.
Scrive per L’Unità e il gruppo L’Espresso in Italia e per La Vanguardia in Spagna. Vivo altrove è il suo primo libro, ma soprattutto il suo modo di dare voce a chi, come lei, ha scelto di non abitare in Italia.
Dall’inizio del 2008 cura il blog: http://barcellonaitalia.blog.unita.it//