Peppino Impastato, militante comunista ucciso dalla mafia
Il 9 maggio del 1978, 42 anni fa, la violenza balorda della mafia uccideva Peppino Impastato.
Peppino è vivo e lotta insieme a noi, le sue idee non moriranno mai.
Passau na stidda chiamata “Pippinu”.
Era virdi, azzurra, celesti.
Nuddu a vitti brillari.
Armi, droga, eroina, cocaina;
morti, lacrimi, sangu;
mari di dollari arricchiscinu u paisi,
i putenti tinevanu bancu.
Ma cu è ‘stu “Tanu Seduto”?
Primitivu, vaccaru, criminali;
fici ammazzari a Pippinu!
La luci ca Pippinu purtava
era politico-socio-culturale:
Luci ‘nna stu paisi,
scurusu, senza sviluppu,
abbituatu di sempri a suppurtari.
Luci ‘nna stu paisi,
unni i miruddi sunnu abbituati a nun pinsari.
Luci ‘nna stu paisi ,
unni è megghiu essiri orbi, surdi e muti.
Luci ‘nna tutti i paisi,
unni regna la morti,
la distruzioni civili e morali.
Luci, luci ca mai nuddu vitti. . . .
. . . . e la stidda ristò ‘ncelu a taliari!
Una stella che passò nel cielo buio e si fece notare,
ma che pochi seppero osservare, e che ora guarda noi: Peppino Impastato
Non trascorrevo un 9 maggio a Cinisi da parecchi anni.
La vita di chi vive all’estero, per scelta o costrizione, comporta innumerevoli rinunce tra cui l’impossibilità di partecipare a eventi importanti della propria comunità.
La lontananza fisica, purtroppo, costringe chi vive fuori a non potere essere presente ai momenti essenziali della città/paese di appartenenza e a subire inevitabilmente uno straziante processo di alienazione dalle radici di provenienza.
In realtà basta poco per riassaporare il gusto inconfondibile dell’aria di casa e ritornare a essere la persona che si era prima di fare fagotto e partire.
E’ quello che mi è successo una decina di giorni fa.
Per chi è nato e ha vissuto a Cinisi, il 9 maggio non è una data qualunque ma rappresenta il giorno in cui la violenza della mafia ha strappato la vita a Peppino Impastato, un giovane siciliano che, lottando anche contro la sua famiglia, ha dedicato la sua breve esistenza alla denuncia di ogni forma di sopruso e ingiustizia a opera del potere mafioso.
La “casuale” coincidenza del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani il 9 maggio del 1978 ha contribuito a occultare fin da subito la storia del provincialotto siciliano che, giocando con la dinamite per preparare un attentato, era saltato in aria sui binari della ferrovia.
La tesi dell’inverosimile preparativo d’attentato finito male o addirittura del suicidio furono le versioni ufficiali portate avanti dalla stampa e dalle autorità.
I loschi depistaggi per allontanare l’inchiesta giudiziaria dalla verità sulla morte di Giuseppe Impastato cominciarono già all’indomani della sua morte quando il maggiore Subranni (attualmente indagato nell’ambito della trattativa stato-mafia), comandante del reparto operativo del gruppo carabinieri di Palermo, utilizzò queste parole nel suo rapporto relativo alla morte del giovane militante di Democrazia Proletaria:“L’Impastato, dopo avere riflettuto ancora una volta su quello che egli stesso aveva definito un fallimento, progetta ed attua l’attentato dinamitardo alla linea ferrata in maniera da legare il ricordo della sua morte ad un fatto eclatante”.
E’ stata solamente la tenacia delle ricerche dei compagni di Peppino che ha permesso di far riaffiorare quella verità che in molti avevano tentato di insabbiare: il ritrovamento di alcune tracce di sangue in un casolare poco distante dal luogo dell’esplosione tolse ogni dubbio sull’accaduto.
Peppino era stato barbaramente aggredito prima di essere posto sui binari della ferrovia con cinque chili di esplosivo.
Un assassinio brutale, selvaggio e violento.
Questo è stato il prezzo che la mafia ha fatto pagare a Peppino Impastato per la pungente ironia con cui aveva denunciato attraverso provocatorie emissioni radiofoniche su Radio Aut, gli abusi, gli sfregi sul territorio, i traffici illeciti e l’arroganza del boss locale Gaetano Badalamenti rinominato Tano Seduto.
Nonostante i depistaggi la verità alla fine è venuta a galla e nel 2002 (24 anni dopo l’assassinio!) e la corte di giustizia italiana ha condannato Gaetano Badalamenti all’ergastolo per l’omicidio.
Peppino Impastato davanti la sede di Radio Aut
Ricordo ancora il primo 9 maggio al quale ho partecipato da ragazzo.
Frequentavo le scuole medie di Cinisi e alcuni insegnanti particolarmente illuminati mi presentarono per la prima volta la storia di Peppino, insistendo sul significato profondo della sua vita.
Mi sono legato immediatamente a quel giovane che portava il mio stesso cognome e che appariva ai miei occhi come un personaggio rivoluzionario.
Un ragazzo di Cinisi, come me, che aveva trovato la forza e il coraggio per lottare contro il potere mafioso che, come se non bastasse, risiedeva nella sua stessa casa.
Ripenso vividamente al momento in cui per la prima volta ho appreso la sua storia e percepisco ancora le vibrazioni della mia anima per l’ammirazione verso il sacrificio di quel ragazzo di appena 30 anni.
Ricordo anche una sensazione di disilluso stupore quando, partecipando per la prima volta alle manifestazioni organizzate in onore di Peppino, mi resi conto che i dibattiti e le conferenze erano semi-deserte e i partecipanti ai cortei erano pochissimi.
Per molti anni, in occasione di quella data, lo stesso gruppo di persone, formato principalmente dai compagni di Peppino e da pochi altri cinisensi, ha ricordato e reso onore al proprio compaesano assassinato dalla mafia.
Poi nel 2000 tutto è cambiato.
L’uscita dei Cento Passi, il bellissimo film di Marco Tullio Giordana, ha permesso di sdoganare a livello nazionale la figura di Peppino Impastato e ha contribuito a sensibilizzare una fetta considerevole di persone che, fino a quel momento, non avevano mai sentito il suo nome.
Da quel momento la commemorazione del 9 maggio ha registrato una partecipazione massiccia di gente proveniente da tutt’Italia per ricordare il giovane di Cinisi che ha sacrificato la sua vita per lottare la mafia siciliana.
Il corteo per Peppino Impastato
Quest’anno l’evento è stato particolarmente ricco e interessante: conferenze e dibattiti partecipatissimi, mostre di pittura, concerti, un colorato corteo da radio Aut fino alla casa di Peppino (oggi diventata un museo dedicato alla sua vita) e alla casa del boss Badalamenti (bene confiscato alla mafia e gestito dall’associazione Peppino Impastato), la presenza di numerosi sindaci di vari comuni italiani.
Tra i tanti eventi che hanno corredato la trentacinquesima commemorazione della scomparsa di Peppino Impastato, mi piace ricordare l’omaggio al poeta Gaspare Cucinella che ha ricevuto una targa alla carriera e ha recitato alcune delle sue poesie.
Gaspare Cucinella ha tra l’altro scritto una bellissima poesia dedicata a Peppino intitolata Na stidda chiamata Peppino.
Partecipare dopo tanto tempo al 9 maggio di Cinisi è stato molto toccante perchè mi ha ricordato l’importanza della memoria storica e della partecipazione di un’intera comunità agli eventi fondamentali della sua cultura.
Ho lasciato il corteo con l’animo gonfio di speranze nel prossimo e nella Sicilia, convinto che un mondo diverso sia possibile.
Tuttavia mi è bastato percorrere pochi chilometri per mettere da parte le utopie esistenziali e rendermi conto che la Sicilia è ancora impelagata nelle sue contraddizioni e nel gattopardesco “tutto cambia per non cambiare nulla”.
Mi è bastato spostarmi di qualche chilometro con la mia Punto bianca, passando da Cinisi a Terrasini, per rendermi conto che le lotte di Peppino sono più che mai attuali e il sacrificio della sua vita deve ricordarci che non bisogna mai arrendersi davanti alle ingiustizie.
Arrivato al lungomare di Terrasini, la mia attenzione è stata catturata da un gruppo di persone che contemplava e commentava animosamente un cantiere in costruzione sulla costa.
Incuriosito da quella strana presenza edile su un tratto di costa incontaminato e, tra l’altro, pericoloso per via della franosità della roccia (recentemente due giovani hanno perso la vita precipitando dalla scogliera), ho deciso di scendere dall’auto per prendere informazioni.
I presenti mi hanno spiegato che quello che si dispiegava davanti ai miei occhi era il cantiere che porterà alla realizzazione dell’ I-club, uno spazio “sapientemente adagiato nella costa di Terrasini” che ospiterà un ristorante, un Solarium “in cui gli ospiti saranno coccolati, serviti e viziati” e una discoteca notturna “che grazie a rinomati dj creerà qualcosa di innovativo”.
Le parole virgolettate, come avrete ben capito, sono tratte direttamente dal sito dell’I-club che descrive la propria creazione come una perla di rara bellezza capace di integrarsi perfettamente nel paesaggio costiero in cui si collocherà e di incrementare il turismo locale richiamando visitatori da tutto il mondo.
Il cantiere dell’I-club a Calarossa
Il progetto, sulla carta, è stupendo: una piattaforma a due passi dal mare dove divertirsi e fare festa fino a notte fonda, un punto di osservazione unico per ammirare tramonti mozzafiato e un motore economico per incrementare il turismo siciliano.
Perché lamentarsi allora? Perché voler andare sempre contro ogni iniziativa? Perchè voler fare i bastian-contrari opponendosi a ogni novità e a ogni forma di cambiamento?
Perché la realtà è ben diversa dai testi poetici del sito web che decantano una struttura paradisiaca dove sognare e abbronzarsi allegramente.
La struttura in questione è un pugno nell’occhio e un pugno nella pancia della dignità siciliana.
Il Solarium installato sulla magnifica costa di Calarossa è una contraddizione inaccettabile per le seguenti ragioni:
– A livello paesaggistico è un pugno nell’occhio che rovina uno scenario da cartolina incantevole.
La sua presenza aggredisce brutalmente un tratto di costa incontaminato.
Non c’erano altri posti per realizzare questo progetto?
– Ruberà i tramonti agli abitanti di Terrasini.
Se i clienti della struttura potranno usufruire di splendidi tramonti, le tante coppie che si fermano sulla cosiddetta piazzetta degli innamorati per godersi il romantico tuffo del disco solare in mare, dovranno includere nella loro visione idilliaca anche un rettangolone bianco chiamato I-club.
Un tramonto macchiato di bianco vi sembra romantico?
– E’ pericoloso.
Non riesco a credere che il comune abbia autorizzato la costruzione di un locale a strapiombo della costa, in cima a un promontorio che si getta sul mare!!!
Ma siamo sicuri che i controlli geologici siano stati effettuati correttamente?
– Distrugge la bellezza.
E’ un vero e proprio assassinio della bellezza della zona dell’isolotto che verrà deturpata e privata del suo fascino.
– Il gioco non vale la candela.
Capisco che in nome del Dio denaro si è spesso pronti a sacrificare i valori più elevati, che come diceva Coleman Business is Business, che in Sicilia il lavoro bisogna crearselo ma francamente reputo che il gioco non valga la candela.
Voglio dire che la struttura, una volta ultimata, darà occupazione a un numero molto limitato di personale e, in ogni caso, non tale da giustificare un simile scempio paesaggistico.
Il cantiere di costruzione dell’I-club
Nel corso della sua breve vita Peppino condusse svariate lotte a difesa del territorio e contro le speculazioni edilizie, partecipò alla difesa dei terreni della zona del Mulinazzo che furono espropriati per quattro soldi ai contadini per realizzare la terza pista dell’aeroporto.
Quella del Mulinazzo era una delle zone più rigogliose e floride della costa occidentale e fu sacrificata per favorire l’aeroporto.
La storia si ripete a distanza di tempo e, ancora una volta, il territorio viene mortificato in nome del Dio denaro.
Quel tratto di costa terrasinese, già abbondantemente privatizzato, aveva in passato destato l’attenzione dell’opinione pubblica per il progetto di costruzione di un depuratore.
In quel caso il progetto é fallito grazie soprattutto all’intervento di associazioni ambientaliste e movimenti cittadini.
Chi vincerà questa volta?
Per ricollegare la prima parte del post dedicata a Peppino con la seconda incentrata sullo scempio paesaggistico in atto a Calarossa, ritengo opportuno includere uno spezzone del film i Cento Passi in cui Peppino espone il suo concetto di bellezza:
“Uno sale qua sopra e potrebbe anche pensare che la natura vince sempre, che è ancora più forte dell’uomo…e invece non è così. In fondo tutte le cose, anche le peggiori, una volta fatte poi si trovano una logica, una giustificazione per il solo fatto di esistere.
Dopo un pò tutto fa parte del paesaggio…c’è, esiste…nessuno si ricorda più di com’era prima. Non ci vuole niente a distruggere la bellezza.
E allora…allora invece della lotta politica, la coscienza di classe, tutte le manifestazioni e ‘sctè fessarie, bisognerebbe ricordare alla gente che cos’è la bellezza, aiutarla a riconoscerla, a difenderla.
La bellezza…è importante la bellezza…da quella scende giù tutto il resto”
Sientu ancora u scrusciu ri passi
ca mi portanu o spitali.
U spitali!
U spitali è bellu, minchia ch’è bellu!
Ci sunnu tutti cosi, nun manca nienti:
manca sulu a saluti,
e poi ci sunnu tutt’i malatii ru munnu,
tuttu u ruluri ru munnu,
tutt’a virità ru munnu!
Cu trasi buonu, nesci malatu;
cu trasi malatu, nesci muortu.
Dutturi, si jioca un ternu a lluottu?
Siddu ‘nserta a me malatia,
u fazzu ‘ncucchiari cu me zia.
U dutturi, schiffaratu,
mi talìa cu ‘ll’occhiu di latu:
“Chi cazzu t’à misu ‘ntiesta?
torna rumani, ca oggi è fiesta”.
Vinni u tiempu ri malivistuti:
c’eranu sciancati, sgummati,
‘ntussicati, parìa ‘n’alligrizza!
Cu si futti a sasizza
e cu mori ri dibbulizza.
Gienti c’avianu vinutu appieri,
arrivaru aieri;
chiddi c’avianu vinutu c’u carriettu,
cu circava u rinali pi pisciari;
cu si ‘nfilava u termometru ‘nto culu,
cu si sbattìa i corna o muru;
cu jittava vuci
picchì ‘nna tiesta ci scacciavanu i nuci;
cu abbaragghiava
picchì ‘stu puostu ‘un ci piacìa,
finu a quannu ‘un vinni a ‘zza Lucia,
a ‘nfirmiera ra settima cursìa.
“Auh! Ma chi è ‘stu burdellu!
Ognunu u so puostu av’a pigghiari,
nun cuminciamu a cugghiunari!
Faciti silenziu, ora veni u ‘zzu Crescenziu,
vi porta u manciari, u miricinali,
vi fa stinnicchiari e senza chiacchiariari;
dumani c’a matinata, a diunu,
vi prisintati a unu a unu.
‘Ntantu, ricitivi u rusariu,
raccumannativi o Signuri:
Nun si po’ sapiri mai,
nna ‘stu munnazzu di guai!”
La tragicomica realtà degli ospedali,
un problema purtroppo sempre attuale
Nun c’è cchiù nienti,
Nun c’è cchiù nienti.
Mancu u suli c’è cchiù;
mancu a luna,
mancu u mari, mancu a Terra;
nun c’è cchiù nienti!
I genti runni su?
Semu tutti suli. . .tutti suli:
Ognunu si talia. . .si talia u suo,
nun vuoli viriri a nuddu,
nun vuoli sentiri nienti.
Lastimi, lamenti. . .nun c’è cchiù nienti!
Mancu nuavutri ci siemu:
cu resta?
Nun resta nienti.
Allura chi c’è di fari??
chi ‘mportanza avi si jietti vuci,
chi’mportanza avi cu ti senti?
Allura c’am’a fari. . . Nun c’è nuddu.
Puru l’amuri finiu, ‘unn’arristò nienti.
Chi vulissi fari?. . . Nienti,
nun c’è cchiù nienti’i fari;
sulu na cosa:
forsi ni putemu ammazzari,
chistu nn’arresta forsi ri sta vita
c’a ficiru addivintari . . .na mmerda!
In seguito a eventi decisivi, come la morte di grandi eroi,
siamo di colpo presi da un conato di annichilimento,
l’autodistruzione sembra la soluzione migliore,
o l’unica, in un mondo che non esiste più solo
perché l’abbiamo distrutto noi
U ventu ‘ncapu u munnu
ciusciava supra i stiddi.
A gienti caminavanu nnò cielu
e scumparianu o funnu.
“Nun caminati nnò cielu,
nun l’allurdati,
livativilli i scarpi,
ca o funnu vi nni iti!”
Accussì abbanniava,
cchiù forti chi putìa,
ma a gienti,
parianu tutti surdi,
facianu finta ca nuddu mi sintia.
E ‘nguttumatu mi pigghiava u chiantu.
M’arrimazzava, mi sbattìa nnò munnu,
chi lacrimi stuiava tuttu u cielu,
a gienti ca spirìanu o funnu
nun si virìanu cchiù.
U vientu avìa finutu di ciusciari
e na stidda s’affaccia i sutta u munnu:
“Picchì chianci, qual è a ragiuni?”
“Chianciu pi sta gienti
c’allordanu u cielu,
si nni vannu o funnu
e restanu surdi e me lamenti”
“U cielu nun si po’ mai allurdari,
è accussì luntanu,
ca nun si po’ ‘mmaginari.
Nudda munnizza mai ci po’ arrivari,
Pi chistu a gienti si nni vannu o funnu
e la to vuci nun li po’ chiamari;
s’alluntananu sempri di stu munnu.
Un sogno triste, angosciante e lieto a un tempo,
un invito a non inquinare il cielo;
ma il cielo è troppo bello per essere contaminato
dalla cattiveria umana
I niegghi si nni vannu
e u mari,
pigghia u stissu culuri d’u cielu.
Pari na tavula
ca sarva
nno funnu du casciuni
tutti i pisci d’u munnu.
Rintra a varcuzza
c’è l’amu,
a lenza e a trimulina.
“Totò, chi bella pisca sta matina!
T’u ricìa assira,
u tempu è buonu
e a luna è china. . .”
Quando sorge il sole, si risvegliano il cielo ed il mare coi loro colori,
e il mare regala una pesca abbondante all’orgoglioso pescatore
Vulissi abbanniari i cosi
c’avìa na vota,
cosi ca vulissi aviri ora
pi rivinnilli ancora,
ma chi nun haiu cchiù.
E mentri cu silenziu ‘nna strata,
u suli ca cuoci,
u sceccu c’arragghia,
a addina ca carcarìa,
si senti a me vuci c’abbannìa:
“Acqua cavura e dulura”.
Na fimmina s’affaccia:
“Ci stai pinsannu a ‘stura?”
“Avi trent’anni c’abbanniu
e nun mi senti nuddu, mancu Diu!”
Il rimpianto per le cose perdute, per ciò che non potrà essere più
e il male di vivere che imperversa e non dà tregua
e che rende più affannosa la nostalgia
Spunta u jornu, spunta arrieri,
addiventu cavalieri.
Sona la fanfarra, stenninu i linzuola,
e pigghiu a parola:
“Cittadini, pupulani,
u pitittu è larju assai,
lu guvernu e li patruna
ni rumperu li cugghiuna.
Senza sordi, senza pani,
nun c’è oggi, nun c’è dumani,
ju lu ricu e lu ripetu,
c’è lu munnu ca fa fetu.
Scura, agghiorna, agghiorna e scura,
aspittannu la bonura,
la bonura ca ritarda
ni liccamu tutti a sarda,
mentri c’è cu li ganasci
mancia a tri quattru parmenti,
si ‘nni futti di li sfasci;
paga cu è c’unnavi nenti.
Viva viva l’alligrizza
di stu munnu puzzulenti,
affunnamu ‘nna munnizza
semu senza sarvagenti!
Aspittannu la stasciuni
ca nni porta lu bontempu
Barbanera metti acqua,
negghi, lampi, trona e ventu.
Di tanto in tanto si fa sentire la voce di un improvvisato oratore
che ci ricorda la nostra poco felice situazione,
consapevole di non poter nulla, e aggrappato solo
alla speranza di trasmettere messaggi positivi
Agghiorna, agghiorna,
chi mmalidizioni!
U suli arrabbiatu m’abbrucia li carni,
nta la ristuccia cercu la spica,
la spica scurdata.
Arriciuppannu ‘nta spini e busuna
nun trovu furmentu.
Ora lu sangu m’allorda la manu,
mi doli la manu, mi trema
e arriscirennu ‘nta la ristuccia,
cerca la spica. . . . . . .
U suli codda,
i griddi cantanu,
nta na vrazzata di pagghia e fenu,
mi ci addurmentu.
Sugnu ricriatu ‘nta stu mumentu!
Nsonnu la spica ‘ndurata, lucenti.
L’angoscia della solitudine e dell’emarginazione,
rappresentata dalla ristuccia solitaria e inutile,
tra le spighe dorate di grano, che è lieta tra esse,
per un momento, prima della fine
Mi piacissi essiri acqua
e vagnari i terri sicchi,
abbivirari arbuli assitati,
purtari friscu unni c’è caluri,
scinniri cantannu ri muntagni:
“Ccà sugnu, nun piniati cchiù,
c’è un muccuni di vita pi tutti!”
Spunta u jornu,
nun viu l’ura ca scura
e ghirimi a curcari,
accussì ‘nsunnari
chiddu ca nun pozzu aviri,
chiddu ca nun pozzu fari,
ca sulu ‘nsonnu
a strata giusta po’ truvari.
Senza suonna, senza amuri,
senza canti ne caluri,
dunni vaiu, ‘nzoccu vogghiu,
s’asciucau puru l’ogghiu,
m’arristau u micciteddu,
sugnu o scuru.
Si tintassi di natari
forsi anniassi ‘nfunnu o mari.
Ntò quarteri nuddu parrava,
sulu scrusci si sintevanu,
casi e casi, muru e muru.
Scumpareru angili
ca nun avianu ali.
Noti musicali si ‘ntricciavanu ‘ntra iddi
e na musica soave
vulò supra li stiddi.
L’acqua è il bene più prezioso della Terra,
e sarebbe bello essere acqua che da la vita a tutto,
precipitandosi gioiosa su tutto, ma prevale semre
la sensazione di non potere nulla per riscattare le propria dignità